L’Italia ha il suo eroe dai due volti: perché Jorginho merita il Pallone d’Oro

L’Italia si specchia in un eroe inaspettato. Crescita devastante per Jorginho, semplicemente decisivo e in odore di Pallone d’Oro

I momenti memorabili della storia del calcio si dipingono silenziosamente. Le mani giunte e calde di coppie trepidanti in tribuna, qualche bandiera tremolante, incerta sul decollo. I fischi della controparte. La paura, appunto, degli spalti attoniti, in attesa della sentenza. Morata va, Alvaro sbaglia. Proprio lui, il senso di umanità di quest’Europeo. Il padre di famiglia, il bravo ragazzo, la rabbia sociale, gli insulti della vergogna. Eppure, ha sbagliato. Per seguire e interagire in DIRETTA sulle ultime di Calciomercato ISCRIVITI al canale YOUTUBE.

E’ calcio, è così che funziona: a volte è crudo. Morata fallisce al cospetto di Donnarumma. Il Tricolore esplode, ovunque, da Roma a Wembley, passando per i salotti, stracolmi di urla e festa. Per tre secondi. Giusto il tempo di realizzare che manca un rigore, uno solo, per staccare un altro biglietto, il più importante, che quasi in loop riporta al punto di partenza e di arrivo. Riportaci a Wembley, Jorginho. Nome brasiliano, cuore italiano. Nel 1991, nasce a Imbituba, nel Sud del Brasile, ma l’Italia lo adotta ben presto e non se ne separa. Il romanticismo di Verona avvolge il suo calcio evoluto, genetico. Piantato già in grembo, è il caso di dirlo. La sua passione, la sua vita, la eredita dalla madre, ex calciatrice.

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I trascorsi in Serie A: l’evoluzione di Jorginho e la folle corsa con l’Italia

Dal Chelsea all'Italia: perché Jorginho merita il Pallone d'Oro
Jorginho © Getty Images

Dal cuore al cervello: da mezzala a regista, la sua evoluzione lo porta a essere, per diletto e per destino, al centro del gioco. Perennemente. E lui pare non curarsene, con quella tranquillità e quella consapevolezza che solo i migliori posseggono. E che lo distingue dalla mediocrità, ovunque sia. La grande occasione non tarda ad arrivare, ma fa capolino, un po’ in sordina. Sottovalutato. Un marchio che, più che un fardello, diventa un’essenza. Essenziale, ma senza la luce dei riflettori a mostrarne il luccichio. Per avere aggiornamenti in TEMPO REALE sulle ultime di CALCIOMERCATO, ISCRIVITI AL NOSTRO CANALE TELEGRAM!

Fino al 2021, ma ora pare quasi una premonizione. Premonizione o visione, chiamatela come preferite, quella di Sarri. E ciò ci riporta al cuore, quel centrocampo, quei compiti da regista che, a suon di ritmo e cerebro, portano il Napoli alle stelle. Il bel gioco, il ‘Sarrismo’, Jorginho come motore immobile a fondamento dell’estro offensivo. Tocca al Chelsea. Altro blu, altra intensità. Molti si aspettano un flop: sottovalutato al quadrato. Quale flop! Con o senza Sarri, non esce dal campo. E come potrebbe… Il grembo, ricordate? E il cuore pulsante. Il mix con Kantè è letale: motori che si fondono e intrecciano una cerniera impenetrabile e puntuale in possesso. Lì dove tutto parte o si ferma, ma per gli avversari.

Il gol è di Havertz, ma non conta la firma da tabellino. La coppa dalle grandi orecchie è Blues, Jorginho bussa alle porte dell’Olimpo e non sfigura. Nessuno ridice. Poche settimane, non si può festeggiare in eterno. Altra corsa, altro blu… Pardon, azzurro. Quello dell’Italia. Neanche a dirlo, Mancini l’ha messo al centro della sua rivoluzione tutta gioco, intensità e orgoglio tricolore. Fuori identità, pensano alcuni, ma è impossibile non esserne stuzzicati e poi folgorati. L’Italia gestisce, attacca, affonda, poi si ferma e si specchia. Senza vanità. Sempre col pallone tra i piedi.

Jorginho per Verratti, poi viceversa. E c’è Barella, tuttofare dal lusso sfrenato. Come Locatelli, se servisse, e Pessina – provvidenza -. Abbondanza e gioia per Mancini. Ma ancora Jorginho al centro. Ah, dimenticavamo. Quel cervello, quella consapevolezza, la calma degli umili e forti, Jorginho l’ha trasformata in eccellenza. Dagli undici metri, statene sicuri, lui non sbaglia. Da Napoli a Londra, in giro per l’Italia e per i campi di mezza Europa, conoscono la sua sentenza. Senza scorciatoie.

L’impresa finale, seduto al tavolo degli Dei: ne manca una

Dal Chelsea all'Italia: perché Jorginho merita il Pallone d'Oro
Jorginho © Getty Images

E ora torniamo lì, alle mani giunte, ai fischi, alle bandiere disilluse e alla lotteria dei penalty. Jorginho abbraccia il pallone e passeggia verso gli undici metri. Sottovalutato? No, contagio. Di sicurezza. E’ il quinto rigore? Tocca a lui. Il finale è già scritto. Rincorsa, passetti, il tempo di un brivido. Saltello: piazzata. Unai Simon da una parte… La sfera accarezza l’erba e entra in rete. Esplosione, urla, telecamere traboccanti di gioia. E le piazze stracolme di orgoglio. Siamo in finale! Ma con una cometa dal futuro.

Quel rigorista, cervello ma non cervellotico, dalla sottovalutazione alla sicurezza, avrà un’altra corsa sovrumana, stavolta in solitaria, in cui stravolgere dallo stupore. Sempre nell’Olimpo, neanche a dirlo. E posato sul tavolo degli Dei quel simbolo che di umile ha poco, di orgoglio tanto. Dal grembo materno al Pallone d’Oro: eroe dei due mondi e cervello di un popolo. La storia, il sogno, che tutti gli italiani meriterebbero.

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