Guardiolismo e petrodollari: ma per la Champions oggi serve altro

Analisi su Guardiola e il ‘Guardiolismo’ all’indomani dell’eliminazione del Manchester City in semifinale di Champions a vantaggio del Real di Ancelotti

Il ‘Guardiolismo’ è una fede della religione calcistica: è nata a Barcellona e da lì si è diffusa facendo proseliti ed adepti in Germania e in Inghilterra. Di più: il tiki-taka è diventato gergale, televisivo, è entrato nella Treccani. L’Italia finora ha continuato a farsi ammaliare dall’idea, ha coniato imitatori di maggiore o minore fortuna, senza riuscire ancora a portare il Profeta, Pep Guardiola, su una delle due (tre sembrerebbero già troppe) panchine su cui potrebbe sedersi almeno oggi. Perché poi José Mourinho alla Roma dimostra che gli uomini cambiano e quel che sembrava impossibile si avvera.

Pep Guardiola ©LaPresse

Ma il ‘Guardiolismo’ tanto decantato – e spesso a ragione, va detto – ieri ha preso una sonora lezione nel ‘Santiago Bernabeu’ bollente che cercava la rimonta e l’ha trovata: avendo seduto in panchina un uomo che non vuole insegnare nulla, né essere etichettato come maestro. Un Gestore con la g maiuscola, termine troppo spesso svilito nel calcio che cerca modelli da mitizzare. Ma, va detto anche questo con altrettanta schiettezza, ad averne di signori gestori come Carlo Ancelotti, che con la Champions ci palleggia mentre Guardiola ci litiga ed è arrivato a viverla come uno spauracchio nella sua esperienza inglese: lui che al Barcellona ne aveva infilate due (2009 e 2011) con altrettante Coppe del Mondo per club. Ma che da quel 2011 non è più riuscito a prendere la Coppa per le orecchie.

Ora il rischio è che se si trasformasse in una beffa anche il testa a testa con il Liverpool in Premier, questa stagione di Guardiola potrebbe finire come iniziò la sua prima al City, a mani vuote. Guardando i ‘Reds’ fare incetta di titoli nazionali oltre a giocarsi la finale di Champions. Perché poi un’altra cosa bisogna dirsi con franchezza, le Premier sono Premier (Pep ne ha conte tre, lotta per la quarta) e le Coppe inglesi nessuno vuole ridimensionare (ha all’attivo 4 Coppe di Lega, 1 Coppa d’Inghilterra e 2 Community Shield). Però se prendi Guardiola è perché in testa hai la Champions. Come lui, che non la alza da 11 anni e la sta facendo diventare una sorta di spettro.

Ieri il City in campo ha assorbito la sua tensione fuori e mentre il Real Madrid diventava minuto dopo minuto più umano, più di fuoco, più in sinergia con il suo popolo, il City si specchiava in un’idea senza riuscire più a trovarla. Ancelotti il Gestore parlava con tutti, ascoltando con attenzione anche Marcelo e dando la sensazione (badate bene, solo la sensazione) che ad allenare il Real in quel momento ci fosse una panchina intera. Guardiola il Profeta era stretto nelle sua braccia conserte e nelle sue idee, ma solo.

Guardiola e Ancelotti ©LaPresse

Ci sarebbe una cosa ancora da aggiungere in questa smitizzazione che Real-City di ieri ci ha consegnato alla fine dei 120 minuti lottati in campo. Tra i petrodollari e la Champions non corre proprio buon sangue: il Psg qatariota e il City degli Emirati hanno trasformato questo trofeo in una chimera, qualcosa che – è dimostrato – non si raggiunge per equazione con la collezione di star in vetrina. Non è che il Real sia un novello Leicester, attenzione: anche Madrid esprime un potentato economico nel calcio, da un tempo infinito. Ma l’idea che fosse in atto una trionfale colonizzazione destinata a spazzare via tutto in nome dell’oro nero applicato al calcio mercato sembra non rispondere al vero. E’ come se il calcio ritrovasse per una notte più anima. E che Real-Liverpool trovi Parigi come teatro cambiato in corsa per gli evento della guerra, sembra uno scherzo del destino.

Giorgio Alesse

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