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VIDEO – Iaquinta a Le Iene dopo la condanna: “La parola ‘ndrangheta fa paura”

L’ex attaccante dà la sua versione dopo il primo grado del processo Aemilia

IAQUINTA LE IENE / Questa sera a 'Le Iene' andrà in onda un'intervista a Vincenzo Iaquinta dopo la condanna a due anni subita al termine del primo grado del processo “Aemilia“. Durante l'intervista, l'ex attaccante, campione del Mondo 2006 con l'Italia, professa l'innocenza sua e di suo padre (condannato a 19 anni): “'Ndrangheta? Mi fa paura sentire questa parola qua. Essere accostati a questa 'ndrangheta è la cosa più brutta che mi poteva capitare”.

Iaquinta spiega perché ha deciso di parlare: “Ho aspettato però adesso basta, è arrivato il momento di far capire alla gente che mio padre non c'entra niente in tutto questo. Veramente, è innocente. Sono stanco, Giulio, sono veramente stanco di questa situazione. Sono stanco. Ieri, dopo la condanna, sono arrivato a casa… i miei bambini che piangevano… mia madre che è malata di tumore da 4 anni… ma un cuore ce l'ha questa gente o no? Ce l'ha un cuore? Mio padre è calabrese, anche io sono calabrese, sono di Cutro. Essere di quel paese non vuol dire che tu sia ‘ndranghetista. È questo che non capisco. Hanno fatto di tutta un'erba un fascio”. Poi continua: “Non c’è cosa più brutta di venire marchiato col nome della 'ndrangheta, non c’è cosa più brutta. A mio padre hanno tolto la White List (il certificato per lavorare con gli enti pubblici, ndr) e non riusciva a capirne il motivo, il perché. È andato mio padre alla DDA di Bologna a dire ‘Venite a controllare’ perché lui era pulito, non aveva fatto niente”. 

Sul possesso dei due fucili, Iaquinta spiega: “Sono stato al poligono una volta, quando le ho prese, poi non ci sono più andato. Ero sempre a Torino, così le armi sono rimaste sempre a casa mia. Nel 2014 mia sorella mi chiese se poteva andare ad abitare a casa mia, dove io detenevo regolarmente queste armi. Mio padre, a mia insaputa, per sicurezza ha preso queste armi, le ha trasferite a casa sua, in cassaforte. È stata un'ingenuità di mio padre. Quando vengono ad arrestare mio padre, nel 2015, le armi non le avevano trovate. Dopo tre giorni ritornano questi della DDA e gli ho detto io che c'erano le mie armi. Ho detto: 'Guardate che mio padre ha preso le armi, le ha prese per sicurezza', gli ho spiegato tutta la storia. Stai tranquillo, vedrai che sarà una cosa amministrativa'. Dopo 15 giorni, invece, mi chiamano alla caserma di Quattro Castella dove c'era una notifica che diceva che io queste armi le ho date in mano alla ‘ndrangheta, che sarebbe mio padre…”

Sulle frequentazioni del padre, l'ex calciatore dice: “C’è scritto anche agli atti che conosceva tutti, ma conoscerle è reato? Se conoscerle è un reato alziamo le mani e si fa 19 anni di carcere, ma non è così. Mio padre deve aver fatto qualcosa con questi qua per essere condannato, ma mio padre non ha fatto niente perché le carte lo dimostrano al processo. (…) Io le conoscevo? Certo, ma conoscere queste persone non vuol dire che io sia ‘ndranghetista. Ma stiamo scherzando?”

Poi sulle possibile agevolazioni ricevute per giocare in Nazionale: “Quella è la cosa più schifosa che hanno detto i pentiti. Tutte fesserie, balle. Io ho fatto 90 gol in Serie A, sono arrivato in Nazionale: 40 presenze in Nazionale, ho vinto un Mondiale. Perché queste cattiverie su di noi?” Infine, Iaquinta dice: “Abbiamo altri due gradi giudizio e la verità deve venire fuori, per forza. Ho fiducia nella giustizia, Giulio. Ho fiducia? Al 100% sull’innocenza di mio padre”.

 

 

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