Il centrocampista biancoceleste ha spiegato: “Mi considero un leader silenzioso”
NAPOLI LAZIO PAROLO IMMOBILE / ROMA – E' il motorino insostituibile del centrocampo della Lazio, il classico giocatore a cui ogni allenatore non rinuncia mai. Alla soglia dei 30 anni Marco Parolo è definitivamente sbocciato, diventando un perno sia dei biancocelesti che della nazionale azzurra: “Mi ritengo un leader silenzioso – ha esordito sulle colonne de 'La Repubblica' – Preferisco dare l'esempio in campo. Però nello spogliatoio serve anche chi alza la voce quando è necessario. Nella Lazio noi vecchi cerchiamo di insegnare gli atteggiamenti giusti ai giovani. Siamo in pochi: io, Lulic, Marchetti, Biglia, Radu, Ciro… Perché anche Immobile nei veterani? Quando fai parte di un gruppo vincente come quello degli Europei, impari in fretta e cambi mentalità. Capisci che il talento non basta se non sai sacrificarti, soffrire e aiutare i compagni”.
IMMOBILE – Proprio l'attaccante partenopeo poteva essere un suo avversario questa sera: “Hanno preferito il nome, anche se poi Milik è forte. Nessuno che si sia fatto delle domande sul perché di quei due anni deludenti di Ciro all'estero, magari esaminando il contesto. Brava la Lazio a crederci, è uno da 20 gol a campionato. Segna ogni partita, credo segnerà anche al Napoli: poi toccherà a noi non subire gol. Il nostro tridente sottovalutato? Meglio, così loro capiscono che devono ancora dimostrare tanto. Hanno un talento straordinario, ma serve continuità e sono migliorati molto in questo. Possono diventare i più forti del campionato, Felipe Anderson fa giocate incredibili, è cambiato, maturato, avverte la fiducia del tecnico e di tutto il gruppo: noi gli chiediamo di essere decisivo, lui si sente importante e fa la differenza”.
NAPOLI-LAZIO – “Abbiamo dimostrato la nostra mentalità nelle ultime tre partite: a Torino dopo il 2-2 ci siamo rovesciati di nuovo in avanti, contro il Sassuolo abbiamo saputo soffrire. Un risultato positivo a Napoli sarebbe un'ulteriore prova del nostro spessore”.
ITALIA – “La Nazionale di Conte si basava su massima applicazione e ferocia agonistica, come la Juve che non molla mai. Certi concetti li ho imparati a 30 anni, li avessi capiti a 24 la mia carriera sarebbe stata diversa. Se con Ventura l'Italia è cambiata? No, la base è quella: se sai fare risultato soffrendo, come contro Spagna e Macedonia, sei una grande squadra. Sono persone diverse, Conte e Ventura, ma i principi di gioco sono simili. Poi il nuovo ct darà la sua impronta, com’è giusto. Leader silenziosi anche in Nazionale? Certo: Chiellini, Bonucci, Buffon, De Rossi. Che effetto farà rivedere in Klose in Italia-Germania? Nello spogliatoio l'anno scorso già si vociferava che quello sarebbe stato il suo futuro. Il giocatore-simbolo della Germania sulla panchina della nazionale: un segnale importante per il calcio, una cosa romantica”.
FUTURO – “Se farò l'allenatore? Non credo proprio. Per me i calciatori che dopo 15-16 anni di ritiri e sacrifici si mettono ad allenare, continuando questa vita, sono un po' matti. Ho aperto una scuola calcio a Varese, mi dedicherò ai bambini, cercherò di trasmettere i valori positivi dello sport. Però senza tante parole”.
D.G.




















