I due ex compagni di squadra nell'anno dello Scudetto: “Per lui la Lazio era tutto”
LAZIO MORTE CHINAGLIA PULICI GARLASCHELLI / ROMA – Una squadra straordinaria. Bellissima in campo ma segnata da un destino avverso. La Lazio che vinse lo Scudetto nel 1974 ha fatto epoca, perdendo poi a breve i suoi principali protagonisti come Re Cecconi e Maestrelli. Ieri se n'è andato un altro pezzo di quella squadra, il più importante per tutti i tifosi laziali: Giorgio Chinaglia se n'è andato per colpa di un infarto, lasciando un vuoto incolmabile tra tutti i fans biancocelesti. A ricordarlo oggi il portiere di quello Scudetto Felice Pulici. “Per lui la Lazio era tutto, è stato il vero trascinatore della Lazio nello Scudetto del 1974. Lui era un credulone a fin di bene, purtroppo ha avuti guai legati solo alla sua voglia di aiutare il club che amava. – le parole di Pulici a 'Radio Anch'io lo Sport' – Ha sempre avuto quei colori addosso, alla fine voleva rientrare in una struttura che amava solo per riassaporare quei momenti fantastici che aveva vissuto. Le sue soddisfazioni se le è prese, ha sempre avuto la forza di proporsi e la voglia di fare vedere di essere il più bravo di tutti. In quel momento pareva impensabile che una squadra da poco arrivata in Serie A potesse vincere lo Scudetto. La nostra fu una vera rivoluzione calcistica, nessuno in Italia giocava così: peccato si parli sempre e solo dell'Olanda del calcio totale. Con Chinaglia e Maestrelli portammo avanti un progetto calcistico all'avanguardia. Lui partì dopo un pareggio in casa contro il Torino, ci salvammo poi solo all'ultima giornata ed i tifosi presero il suo passaggio al Cosmos come un tradimento. Ma la rabbia si calmò subito, perchè lui voleva tornare come presidente per ridare lustro alla società. La gente lo capì subito”.
Sulla stessa linea d'onda di Pulici anche Renzo Garlaschelli, altro grandissimo protagonista di quelle stagioni. “Era un ragazzo generoso, la sua qualità migliore, dentro e fuori dal campo. A volte era un po' naif ma con il cuore grande. Lui voleva tornare in Italia anche per risolvere la sua situazione, Era una squadra matta, con tanti problemi fuori dal campo ma durante le partite ci trasformavamo. Non sono leggende, davvero era una banda di pazzi. E lui ne era il leader”.
M.D.F.




















