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Tramacere (RadioMilanInter): Calciopoli, quante stranezze…Ma ne vale la pena?

Consueto appuntamento con il conduttore dell'emittente milanese

TRAMACERE RADIOMILANINTER / MILANO – Luciano Moggi (Monticiano, 10 Luglio 1937) è un ex dirigente sportivo e manager calcistico italiano. Moggi muove i primi passi nel calcio maggiore alla Juventus alle dipendenze del direttore generale Italo Allodi, chiamato dai bianconeri nel 1970 dopo il ciclo trionfale con l’Inter.

Nel 1979 passa alla Roma di Anzalone, ma il suo allontanamento arriva pochi giorni dopo che Dino Viola (succeduto ad Anzalone, come presidente della Roma) viene a conoscenza del fatto che “Lucianone”, alla vigilia della partita con l'Ascoli, è stato a cena con l'arbitro. La Roma vince la partita 1-0 ed il presidente ascolano si infuria per un arbitraggio, secondo lui, filo-romanista.

Dopo una breve parentesi alla Lazio e al Torino si trasferisce al Napoli dove si dimette Pierpaolo Marino dall'incarico di Direttore sportivo spiegando che «i suoi metodi sono diversi da quelli di Moggi». Nel 1991 torna al Torino del presidente Gian Mauro Borsano. Moggi viene inquisito per illecito sportivo e favoreggiamento della prostituzione per le “squillo” fornite agli arbitri in occasione delle partite di Coppa UEFA. La frode sportiva, tuttavia, non sussiste in quanto non si applica alle gare UEFA, che chiude velocemente le proprie indagini.

Nel 1994, dalla Roma, Luciano Moggi passa alla Juventus dell'amministratore delegato Antonio Giraudo e dove verrà definito dall'avvocato Gianni Agnelli «lo stalliere del re, che deve conoscere tutti i ladri di cavalli». Qui rimane fino al maggio 2006 quando viene collegato ad un'inchiesta giudiziaria in ambito sportivo, detta Calciopoli.

Ho voluto aprire questo nuovo appuntamento con voi lettori di calciomercato.it, con una breve biografia del personaggio che ha catalizzato l’attenzione di 56 Milioni di tifosi in tutta Italia (e non solo), nella giornata tanto discussa di Martedì 8 Novembre e che, probabilmente, non tutti conoscono a fondo: Luciano Moggi.

L’ex Direttore Generale della Juventus, “piaccia o non piaccia” tanto per citare il PM Narducci, è un personaggio controverso che ha condizionato, nel bene e nel male, l’andamento del calcio italiano degli ultimi 20 anni. Fin dai tempi di Roma, Napoli e Torino, infatti, Luciano Moggi non si è tirato indietro dal giocare tutte le sue carte, pur di ottenere il maggior numero di successi possibili per la squadra da cui era stipendiato.

Il processo di Napoli, nell’arco di 4 anni, ha portato a galla luci e ombre del calcio italiano, un soggetto malato, appesantito e sempre più contorto su se stesso, di cui Calciopoli, nel 2006, è sembrato essere solo la punta di un iceberg, dal quale il movimento italiano è attratto pericolosamente.

La sentenza di primo grado (5 anni e 4 mesi per Moggi, 3 anni e 8 mesi per Bergamo, 2 anni e 2 mesi per Mazzini e 1 anno e 11 mesi per Pairetto) condanna pesantemente non solo Luciano Moggi, bensì tutti i vertici federali di allora che, in maniera preoccupante, non sono molto differenti da quelli di oggi. Ne esce pulita, invece, la Juventus FC; le parole del suo ex DG, tuttavia, stridono non poco con il comunicato ufficiale emesso dalla società bianconera al termine del processo: “Non ho capito il comunicato della Juventus. In campo non si giocava mica Moggi-Chievo o Moggi-Udinese, in campo andava la Juventus. L'estraneità ai fatti non so cosa significhi”.

Questa stranezza, messa in evidenza proprio da Luciano Moggi, è solo la prima di molte su cui le varie testate giornalistiche, schierate o non, hanno puntato il dito per agitare gli animi dei tifosi italiani. Pur essendo questa una sentenza (in Italia una sentenza è appellabile, ma non contestabile), il termine che più è stato usato negli ultimi due giorni, è la parola “strano”. Analizzando la sentenza emessa dal giudice Casoria, infatti, vengono alla luce stranezze che, in base alle ideologie che coinvolgono ognuno di noi, possono essere analizzate e ribaltate a favore o contro le altrui tesi.

Il ricorso in appello, da parte dei difensori delle parti accusate, non fa che alimentare queste sensazioni di una condanna ingiusta, inappropriata o, quantomeno, parziale. E allora cosa rimane di inoppugnabile? Quali certezze abbiamo ottenuto dalla fine di questo primo processo penale?

L’unica vera certezza che il mondo del calcio ha ottenuto, da questi ultimi 5 anni di veleni, lotte e diatribe dialettiche, è che la verità assoluta non verrà mai a galla. Anche nel giorno in cui la Cassazione pronuncerà il suo definitivo verdetto, non si finirà mai di credere che manchi qualcosa a questo processo, che la tal squadra ne sia uscita meno penalizzata di quello che gli spettasse, che il tal dirigente federale non è stato considerato ed occupa ancora quella poltrona che non gli spetterebbe di diritto, etc…

E allora vale davvero la pena di rodersi il fegato barcamenandosi fra carte, atti processuali, intercettazioni telefoniche e schede svizzere? Non converrebbe, invece, riconcentrarsi tutti sul calcio giocato, che dovrebbe essere fonte di divertimento, di spettacolo e di coinvolgimento per tutti coloro che trovano nel pallone la valvola di sfogo dagli stress quotidiani della vita reale?

Ai posteri l’ardua sentenza.

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