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Mourinho: “La comunicazione a Roma vuole dividere. Grazie ai tifosi per quello che mi hanno dato” | CM.IT

Jose Mourinho ha incontrato il cardinale Jose Tolentino de Mendonca nei giorni del decennale del pontificato di Papa Francesco, verso la Giornata Mondiale della Gioventù a Lisbona nella prima settimana di agosto

Jose Mourinho si racconta, lo fa a cuore apertissimo, davanti a ragazzi e professori, tornando alle origini e alla sua formazione.

Mourinho e il cardinale Jose Tolentino de Mendonca

Presso la Pontificia Università Gregoriana, l’allenatore della Roma è tornato a incontrare il cardinale José Tolentino de Mendonca, nei giorni dei 10 anni di pontificato di Papa Francesco (che domani sarà dimesso dal ‘Gemelli’) e nell’ambito di una serie di momenti dedicati a ‘Camminando verso Lisbona’. Ovvero la sede della prossima Giornata Mondiale della Gioventù. Dopo un colloquio privato di circa 40 minuti, Mourinho e Mendonca – prefetto del Dicastero per la cultura e l’educazione – si sono seduti nell’Aula Magna, parlando liberamente di ragazzi e di formazione. Un momento importante a cui ha assistito anche il ministro dello Sport Andrea Abodi (tra gli auditori anche Nuno Santos). Di seguito il botta e risposta integrale, poi dopo la conversazione c’è stata una vera e propria ressa dove Mourinho si è fermato a salutare Abodi e firmare autografi e scattare selfie uno dopo l’altro.

Jose Tolentino: “È una grande gioia ritrovare Mourinho, dopo un anno. Ci ritroviamo in un contesto come quello della scuola, dove un uomo e una donna imparano le cose fondamentali dell’esistenza, è un apprendistato, un laboratorio di scienza e conoscenza. Ognuno di noi ha un legame affettivo con la scuola, dopo anni capiamo che quanto vissuto lì è importante per il nostro cammino di formazione. Papa Francesco cita tante volte un proverbio africano che dice ‘per educare un bambino ci vuole un villaggio’. Lo sport ci aiuta a concentrarci, non a divertirci. Conoscendo un po’ della storia di Mourinho, so quanto è stato importante cominciare come professore, avere avuto questa esperienza e associare nella sua vita lo sport alla formazione dei giovani. La prima sfida che gli lancio e chiedergli di raccontarci questa sua esperienza”.

Mourinho: “Prima di tutto dico che dovevo stare di là, dalla parte degli studenti. Ho molto da imparare da voi e poco di interessante da dire. Mi scuso perché nei protocolli sono orribile e quindi saluto tutti (ride, ndc). Vado subito a una cosa obiettiva. Sono uscito dall’università andando subito a fare il professore, ma un anno dopo sono andato a una scuola di bambini con sindrome di down e non ero preparato. La mia formazione universitaria era educazione fisica, sport di alto rendimento. Sono andato alla scuola ufficiale perché avevo bisogno di lavorare e quando mi hanno mandato in quella scuola lì non avevo né esperienza né formazione. E sono arrivato con paura. Sentivo la responsabilità di essere un ragazzo di 23 anni, un po’ come adesso che non mi sento di avere le capacità giuste. Alla fine di quei due anni, quando sono andato via, bambini, colleghi e genitori erano molto tristi che andassi via perché ero un professore eccezionale. Perché? Perché ho appreso la mia salvezza, che l’unica cosa che ho per dare è l’amore. Niente di più. E ho creato un rapporto con i bambini, che ancora oggi vedo quando vado in Portogallo. L’amore mi ha reso un professore eccezionale, facendo qualcosa di eccezionale per la loro crescita. Poi sono andato nella direzione di un nostro amico, che è stato un professore dell’università, di cui parlo tanto ma non sono mai stanco di parlare. Ancora dopo 40 anni, continuo a considerarlo il mio professore più importante, quello di filosofia. Non quello di metodologia, di allenamento o statistica, ma di filosofia. Lui mi disse ‘Tu non sei allenatore di calciatori ma sei allenatore di ragazzi che giocano a calcio’. Queste due cose mi hanno aiutato molto nella mia strada. Chi di voi segue più il calcio dice che magari questo è teatro e non sono davvero così. Ma invece lo sono. L’empatia e l’amore sono alla base di tutto”.

Mourinho incontra il cardinale Jose Tolentino
Jose Mourinho – calciomercato.it

Jose Tolentino: Nella scuola dello sport cosa si impara? Cosa ha visto che i ragazzi hanno imparato e come si sono trasformati?

Mourinho: “Il mio sport purtroppo è un mondo diverso dallo sport che noi vogliamo per i nostri bambini. Lo sport di alto rendimento è crudele. Non c’è spazio per i più deboli, l’obiettivo è molto molto chiaro per noi professionisti è vincere, per i proprietari e la gente che controlla l’aspetto economico gli obiettivi sono molto chiari. Lo sport di cui hanno bisogno i bambini, che anche i genitori hanno bisogno di capire, perché tante volte sono proprio i genitori con le loro ambizioni e frustrazioni a portare i ragazzi verso l’aspetto della crudeltà. Nello sport di base, dove io sono cresciuto, con un collaboratore che ho ancora oggi dopo che l’ho avuto da calciatore a 12 anni, si impara tanto. Si impara più che nella propria casa, dove hai mamma e papà, hai uno spazio di evoluzione fantastico. Io do il 200% di garanzia che ci sono genitori che dicono ai ragazzi di non passare la palla a un compagno, perché altrimenti segna più gol di lui. Questa è la crudeltà. Ma il calcio di formazione ha empatia, solidarietà, la ricerca della gioia di vincere, sapere che quando perdi la sconfitta non è l’inizio di un periodo difficile ma il finale di un momento difficile. Questo messaggio si passa molto bene nello sport, la disciplina e tante cose positive. Non è il solo sport che può dare questo, ci sono anche altre aree come l’arte. Ma lo sport dove non c’è la ricerca della performance è molto bello e mi ha aiutato molto nella mia formazione”.

Jose Tolentino: Che percezione ha dei problemi della gioventù contemporanea o delle sue speranze?
Jose Mourinho: “Hanno difficoltà a rapportarsi a tante cose irreali che entrano nelle loro vite, sui loro computer o ipad, sono cose fake che creano determinati tipi di aspettative. E sembra che poi loro falliscano, invece non è vero. Tante cose che per loro sono un fallimento è un mondo ideale. E per me questo è un problema. Quando si dice che il mondo è dei giovani non sono d’accordo. Il mondo è nostro, è di tutti. Il giovane che pensa di non avere niente da imparare dai capelli bianchi degli altri è in difficoltà. Ma anche chi ha i capelli bianchi e pensa di non avere niente da imparare dai giovani è in difficoltà, sono un ostacolo all’affermazione nel mondo dei giovani. Io sono un uomo di 60 anni che è il leader di 30 ragazzi tra i 20 e i 30 anni, se non hai la capacità di imparare da loro, di avere l’umiltà di imparare da loro sei in grande difficoltà. Io sono in una fase della mia carriera dove questo ostacolo non esiste, ma l’ho avuto. Anni fa ho sentito questo ostacolo di non capire bene le necessità, le cose che possono motivare di più o di meno, la capacità di lavorare su un determinato tipo di condizione. Questo per me è importante, la costruzione del loro futuro non può essere senza i capelli bianchi. E chi ha i capelli bianchi, per restare giovane fino all’ultimo, ha bisogno di loro e della loro conoscenza. Il mondo è nostro, né dei giovani né nostro. Io ci sono passato, nella fase in cui pensiamo di saperne di più dei genitori o dei nonni. Questa crescita nella società è una cosa molto importante per loro. La critica come critica non aiuta l’autostima, non aiuta la capacità di pensare di non avere paura del ‘fallimento’. E dico sempre tra virgolette perché non ho ancora capito bene cosa è il fallimento. Nel mio caso specifico, è perdere una partita? Non essere capace di sviluppare il potenziale che hai? Andando in altre aree il vero fallimento è avere le capacità innate e non riuscire a svilupparle, e arrivi poi in un momento in cui dici ‘potevo, ma non ci sono riuscito’. Questo è il vero fallimento. Chi ha il coraggio di fare, di sfidare, mettere dei limiti anche oltre le proprie potenzialità, questo non è fallimento”.

Mourinho incontra il cardinale Jose Tolentino
Mourinho – calciomercato.it

Jose Tolentino: Tutti noi proviamo la fragilità, vedendo la vita che cambia, ci si confronta con la morte, con l’esistenza, con i sogni. Non è raro che un giovane si senta solo in questo mondo. Come gestire la fragilità?

Jose Mourinho: “Devo lavorarci principalmente su me stesso. Se siamo capaci di gestirla da soli, senza necessità di condividerla col mondo. Siamo in un mondo in cui sembra un obbligo condividere con tutti le tue fragilità, le tue difficoltà. Ovviamente io come persona e professionista ho delle fragilità. Come persona cerco di gestirla, se devo condividerla lo faccio con i miei, nella mia intimità. Dal punto di vista professionale sono capace di gestirla da solo, ho questa capacità che mi aiuta. La gestione di questa fragilità con il tempo e la esperienza si fa più equilibrata. Ma anche in questa mia maratona di 60 anni ci sono momenti in cui non senti fragilità, che sono momenti che fortunatamente con la maturità vanno via. Perché quando non senti fragilità sei in un mondo non reale, perché la più grande fragilità diventa che non sei in controllo della tua vita. Questa maratona di 60 anni mi ha dato questa capacità di sentirmi bene nella gestione delle mia fragilità. Magari è una parola pesante, si può dire dubbi o punti interrogativi, camminare più lentamente, frenare, guardare indietro. Fa tutto parte di un percorso, per questo dico che tra famiglia e amici, l’unica cosa che non mi piace dei miei 60 anni è che fisicamente non sono forte. Qualche volta mi sveglio con un dolorino, magari dopo un allenamento devo andare a riposare perché sono un po’ più stanco. Ma dal punto di vista personale non mi cambierei con il me stesso di 50, 40 o 30 anni”.

Jose Tolentino: Cosa la colpisce della testimonianza di Papa Francesco?

Jose Mourinho: “Ho anche paura di dirlo. Perché non voglio dire nessuna eresia o qualcosa che voi possiate pensare che sia una mancanza di rispetto. Però io utilizzo con Papa Francesco un’espressione molto calcistica, che è ‘uno di noi’. Magari non capite cosa voglio dire, ma io lo vedo come uno di noi. Magari dico una cosa orribile, ma vado tante volte con i miei amici a fare una passeggiata di sera in piazza San Pietro e magari penso che lui si affacci dalla finestra e ci saluti. Non l’ho mai conosciuto di persona, ma se un giorno lo conoscerò la mia reazione sarà di dargli un abbraccio. Non riesco a vederlo come Sua Santità, è ovvio che lo sia, con tutto quello che rappresenta. Ma io lo sento così vicino e normale, che è uno di noi. Anche per come parla, lo fa in modo che tutti lo capiscano perfettamente e il messaggio passa sempre. È uno di noi, è un uomo fantastico”.

Un tifoso prende la parola e ringrazia Mourinho per quanto ha trasmesso ai tifosi della Roma.
Jose Mourinho: “Quando tu mi hai ringraziato, penso che quello che abbiamo fatto di più importante lo hai capito. Dal punto di vista social la gente ha bisogno di un riferimento, che non sono io ma è il club, in questo caso il nostro club. Questa empatia, questo senso di appartenenza, di famiglia, questo senso di ‘vinciamo e siamo felici, perdiamo e siamo tristi ma siamo insieme’ è un po’ come nelle famiglie. Se c’è qualcosa da festeggiare siamo molto felici, se c’è qualcosa per cui piangere lo facciamo insieme. La vita è più importante del calcio, le nostre famiglie sono più importanti di quelle del calcio, ma la Roma in questi anni è riuscita a fare per la gente, la gente ha risposto in modo fantastico. Il modo più facile per essere pragmatico e obiettivo, è dire ‘vince tanto è un grande club’. Nessuno che capisce di calcio non può dire che il Real Madrid è il più grande della storia. Ci sono club che non hanno mai vinto ma sono grandi dal punto di vista sociale e affettivo, in questo senso di appartenenza che può esserci anche in un piccolo villaggio, di bambini. Magari un paese che perde sempre, ma è il mio paese. La Roma ha questa bellezza, siamo una città dove la comunicazione sociale locale divide o cerca di dividere. E per questo sono ancora più speciali. Non dovete ringraziarmi ma io ringrazio voi per quello che mi avete dato in questo tempo”.

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