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Crisi che vivi oriundo che trovi: la 10 da Thiago Motta a Joao Pedro

Stasera l’Italia in campo contro la Turchia con la 10 a Joao Pedro: 6 anni dopo Thiago Motta, un altro oriundo con un numero simbolo

All’inutilità di una gara come quella di stasera con la Turchia che molti vivono come una perdita di tempo (vedi il fuggi fuggi più o meno motivato dal ritiro azzurro di molti calciatori), si aggiunge una scelta che lascia un po’ spiazzati, per quel che conta nel momento che la nazionale italiana sta vivendo.

Thiago Motta © LaPresse

Ma indubbiamente la “10” a Joao Pedro, fresco oriundo e freschissimo azzurro, conferma quanto meno come nella sua storia l’Italia abbia un po’ ignorato (qualcuno dice “violato”) il sacro rito della simbologia dei numeri nel calcio. Dove la 10 fa rima con estro, classe, talento, gol. E dove fino a che il criterio è stato il sorteggio o l’ordine alfabetico per ruoli, trovarsi dentro assegnazioni strambe è potuta apparire una logica conseguenza. Ma la libera scelta ristabilita dagli Anni Duemila, quasi impone quel rigore simbolico che nella storia ha dato la 10 a Pelé, Eusebio, Maradona, Platini, Zidane, Totti, Del Piero, Ronaldinho, Mesi, Romari, Zola e… Roberto Mancini. Già, proprio il ct.

Ebbene solo a scorrere i convocati di questa sera, viene da pensare che a voler dare un segnale al futuro, che si caricasse dei valori reclamati in questi giorni, la 10 potesse finire sulle spalle di Lorenzo Pellegrini, Alessandro Tonali, Giacomo Raspadori. Udite udite, Nicolò Zaniolo, forse il più silenziosamente ferito da questa scelta. Niente di personale con João Pedro Geraldino dos Santos Galvão da Ipatinga, brasiliano con passaporto italiano, 83 gol in otto stagioni a Cagliari, dopo essere arrivato in Italia nel 2010, al Palermo, e aver girovagato un po’ tra Vitoria Guilaraes, Peñarol, Santos ed Estoril Praia, prima di piantare le basi in Sardegna, a Cagliari. A 30 anni, la maglia azzurra rappresenta per lui una grande soddisfazione, incarna le doti dell’attaccante generoso, con qualche guizzo.

E con la sua generosità farà di tutto per dare una mano, dopo che il suo esordio è stato di quelli che un calciatore vorrebbe cancellare: ha coinciso con la seconda defezione consecutiva dell’Italia dal Mondiale e l’apertura di una crisi profonda. Una debacle che non si può certo addebitare al capitano del Cagliari il quale, con il suo ingresso nel team azzurro ha tenuto alto in termini assoluti l’orgoglio dell’isola, da ventesimo convocato della storia in maglia rossoblù.

La 10 dell’Italia a Joao Pedro: un altro oriundo dopo Motta

Joao Pedro © LaPresse

E pensare che, la famosa 10, tra il Mondiale del 1966, l’Europeo del 1968 e Messico 1970, finì sulle spalle di Antonio Juliano del Napoli, Giacinto Facchetti dell’Inter e Mario Bertini mentre era il tempo azzurro di Mazzola e Rivera (ma erano diversi i criteri di scelta dei numeri).  Così come nel 1982, quando il Mondiale vinto in Spagna ebbe come 10 Beppe Dossena, zero presenze in quella avventura. Una lancia, però, con sei anni di distanza, va spezzata sicuramente a favore di Thiago Motta.

Il tonfo al Mondiale del 2014 con Prandelli in panchina portò la l’Italia dentro la prima grande crisi del Terzo Millennio (siamo già alla terza). Eliminati al girone, a rivedere quel fallimento oggi, bisogna dire che lì, in Brasile, sono rimasti l’ultimo gol e l’ultima partita azzurra in un Mondiale (il 14 giugno la reti di Balotelli all’Inghilterra, il 24 la partita con l’Uruguay che sancì l’eliminazione). La rifondazione affidata ad Antonio Conte, dentro un momento delicatissimo anche perché era il primo dopo il trionfo del 2006, portò Thiago Motta in Nazionale e proprio a lui venne data la fatidica maglia numero 10, scatenando polemiche lunghe e per certi versi anche sgradevoli.

Chissà se quel numero pesava talmente tanto da fare il giro dello spogliatoio per richiedere che lo accettasse solo uno con gli attributi, capace di metterselo su con disinvoltura, carisma e senso di responsabilità (la verità è consegnata alla storia degli “omissis”). Fatto sta che, tutto sommato, Motta in carriera aveva vinto già 6 dei 7 campionati conquistati in tre Paesi diversi e due Champions League, con Barcellona e Inter. Insomma, proprio l’ultimo non era. Eppure quel 10 fece scalpore. Sei anni dopo, c’è sempre un oriundo che “salva” l’Italia e il suo numero 10.

Giorgio Alesse

Redazione

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