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Bologna, dalla commozione alla grinta: “Sono inca**ato nero”. E’ tornato Mihajlovic!

Le parole del tecnico serbo del club felsineo

BOLOGNA MIHAJLOVIC/ Il Bologna, nel prossimo turno di campionato, sfiderà al San Paolo il Napoli di Carlo Ancelotti dopo il pareggio in extremis contro il Parma, decisiva la rete di Dzemaili. Intanto, Sinisa Mihajlovic torna a parlare in conferenza stampa. Per le ultime notizie sul campionato di Serie A—> clicca qui!

La conferenza inizia con il commento di Dzemaili da parte della squadra: “Dire che ci sei mancato è poco, siamo contenti che tu sia tornato con noi e vogliamo farti questa sorpresa, ma cercheremo di renderti felice di nuovo. Grazie di essere tornato”.

PARTE MIHAJLOVIC: “C'è grande affetto nei miei confronti, l'ultima volta ci siamo sentiti a luglio e pensavo che fosse giusto fare una conferenza con i medici che mi hanno curato per spiegarvi il mio percorso, il mio stato di salute attuale e cosa andrà fatto in futuro. In questi mesi ho conosciuto dottori straordinari, infermieri che mi hanno supportato, soprattutto questo. Chi più di loro può capirlo e voglio ringraziarli tutti di cuore, e da subito ho capito di essere nelle mani giuste. Senza l'aiuto di tutti non sarei riuscito a fare questo percorso che sta andando bene”. L'allenatore serbo si è poi commosso menzionando i nomi di tutti coloro che gli sono stati vicino nel suo periodo in ospedale.

INTERVIENE IL DOTTOR CAVO: “Guardo Sinisa negli occhi per dirgli che le lacrime sono catartiche”.

IL COMMENTO DI MIHAJLOVIC: “Eh ma mi sono rotto le pa**e, sono quattro mesi e mezzo che piango, sono finite”. (ride, ndr)

RIPARTE IL DOTTOR CAVO: “La complessità relativa alla diagnosi abbiamo cercato di affrontarla mettendo il meglio di tutti noi. Questo vuol dire che vi parla lo fa a nome di tutti i medici, di ogni branca. La storia che noi andiamo a raccontare la potete declinare per tutti i pazienti che vengono in Ematologia, oggi riannodiamo una pellicola e torniamo indietro di quattro mesi nel momento in cui noi abbiamo dovuto fare una serie di accertamenti legati ad esami fatti per un altro tipo. La diagnosi è quella di una Leucemia acuta mieloide. Vuol dire che un tipo dei globuli bianchi fermano la loro maturazione e proliferano senza avere controllo e questo porta il midollo osseo a perdere la sua capacità di produrre le cellule mature. Oggi abbiamo a disposizione dei farmaci che possono spegnere quell'interruttore, delle terapie mirate. Tutto questo processo si è tradotto nel caso di Sinisa, con due cicli di chemioterapia e le nostre segnalazioni fatte alla stampa. Ripeto, stiamo parlando di Sinisa, ma la storia si può traslare a qualsiasi paziente con questa diagnosi. Il primo ciclo ha riportato il normale funzionamento del midollo osseo. La parte finale invece, quella più recente, oggi è un mese esatto dall'intervento di trapianto. Sinisa, quando mi ha chiesto di essere qui, mi ha detto di voler chiudere un cerchio. Dal nostro punto di vista, quel cerchio non è ancora chiuso e abbiamo ancora bisogno di tempo, per monitorarlo, però siccome, da non tifoso del calcio, in qualche modo ho seguito e mi sembra di aver colto un sentimento di affetto che lo ha circondato. Mihajlovic ha sempre visto le cose in positivo. Siamo assolutamente felici di averlo restituito a tutta la comunità”.

TOCCA ALLA DOTTORESSA BONIFAZI: “Il ritorno alla vita normale di Sinisa avverrà gradualmente e quindi valuteremo di volta in volta la possibilità che Sinisa possa essere presente, e potrà portare a una limitazione parziale o variabile nei contesti di grande affollamento”.

CAVO: “Sinisa ha fatto luce su una malattia come questa. Tutto questo percorso ha visto molte altre competenze specialistiche all'interno dell'azienda ospedaliera, è stato un gioco di squadra”.

BONIFAZI: “A 100 giorni si riducono i rischi collegati al trapiano, e il bollino del guarito viene dato dopo cinque anni, ma già dopo due c'è una riduzione significativa”.

SULL'ATTEGGIAMENTO: “Lo ha aiutato dal punto di vista psicologico, per la terapia non conta in alcun modo, ma lo spirito è fondamentale. Da lui non ho mai percepito la minima incertezza sin dall'inizio”.

SUL DONATORE: “Non è possibile rompere l'anonimato del donatore, per norma di legge, ma è innegabile che contattarsi e cercarsi sia diventato più facile”.

RIPARTE MIHAJLOVIC: “Volevo finire con i ringraziamenti, nei confronti di tutti, per chi ha pregato, per gli striscioni, i cori e mi sono sentito molto protetto nel mondo del calcio, come se fossi parte di una famiglia. Un grazie a tutti i tifosi, ma soprattutto quelli del Bologna, unici, e mi hanno adottato come un figlio. Una menzione anche per la società, per tutti, perché ci sono stati dal primo momento e non hanno messo mai in dubbio nulla, a partire dalla mia permanenza qui. Il ringraziamento più sentito va alla mia famiglia. A mia moglie che è stata tutti i giorni con me, dimostrandomi un'altra volta di essere fortunato di avere una donna accanto così, l'unica che ha più pa**e di me, ti amo! Poi ai miei figli, la mia vita, e quando c'erano problemi per il midollo hanno subito accettato di fare tutto, un gran gesto di amore nei miei confronti. Poi un grazie a mio fratello e a mia madre in Serbia. Ho passato quattro mesi tosti, chiuso in una stanza di ospedale da solo con tutto filtrato, dove il mio più grande desiderio era quello di prendere una boccata di aria fresca. Non mi sono mai sentito un eroe, solo un uomo, con il suo carattere e le sue fragilità. Queste malattie non le vinci col coraggio, servono le cure, ma voglio dire a tutti i malati gravi di non sentirsi meno forti, perché non c'è da vergognarsi nell'aver paura, l'unica cosa che non devono mai perdere è la voglia di vivere. E' una malattia bastarda, ci vuole pazienza, bisogna darsi dei piccoli obiettivi e devono concentrarsi su quello. La voglia di combattere non va mai persa. Comunque, alla fine se sei forte e se ci credi, dopo arriva il sole. Paura ce l'ho ancora anche io, che ti fa rigare dritto. Sono andato due giorni in campo, poi mi accorgo che sono stanco, ma so tutto. Prendo 19 pastiglie al giorno, dalle 8 a mezzanotte, certa roba che sembrano supposte, però li prendo. Spero, dopo questa esperienza, di uscire come uomo migliore perché la pazienza non era il mio forte. Affrontando questa malattia, ho migliorato anche quella e ora mi godo ogni minuto della giornata. Tutto ciò che sembrava normale, lo vedo con una maniera diversa, sembrerebbe una cosa da niente, ma prendere delle boccate d'aria diventa una cosa bellissima”.

SUL CALCIO: “Anche quando avevo 40 di febbre ho cercato di essere sempre presente, tutti i giorni ho fatto dei sacrifici e speravo di vedere in campo un po' di questa forza, ma purtroppo non è sempre successo così e questo mi dispiace, e io adesso nonostante tutto vi devo dire che sono inca**ato nero, per il gioco e per l'atteggiamento. Abbiamo già iniziato e cominciare a fare punti, sappiamo la giusta via e chi non lo fa avrà dei problemi con me e vi assicuro che non è una bella cosa. Io non mollerò niente, sempre con cautela, ma quando posso esserci ci sarò sempre”.

SULLA SITUAZIONE: “I giocatori lo sanno se io sono contento o no. Ho chiesto una reazione che non c'è stata, oltre il risultato. Io guardo molto di più la prestazione e l'atteggiamento. In quattro mesi ho visto allenamenti dalla tv, però un conto essere sul posto, mentre un altro è vedere da fuori. Prima ho parlato ai ragazzi, da adesso in poi ognuno deve dare il 200%, sennò sono ca**i amari. Giocherà chi fa quello che gli dico, se non lo fa, fuori, chiunque sia”.

SULL'UNIONE DEL MONDO DEL CALCIO: “Ho sentito una seconda famiglia. Prima ero uno che divideva la gente, con la malattia sono quasi riuscito ad unire la gente. L'ultimo esempio era a Torino, dagli insulti siamo passati agli applausi, per me è stato bello sentire quest'affetto da gente che mi vedeva come un nemico. Io non mi vergogno di niente, a luglio ho affermato di volere affrontare la malattia, e così è stato. Non ho mai avuto dubbi su questa cosa. Mi ricordo a Verona sembravo un morto che camminava, ma avevo fatto una promessa alla squadra e andava fatto e in quei 90 minuti la testa ha girato, ma dovevo farlo per dimostrare la lotta giornaliera, i sacrifici per tutti coloro che mi vogliono bene. Non potevo mollare, non puoi deludere la gente e metti te stesso all'ultimo posto, perché sarebbe una delusione troppo grande non aver fatto ciò che ho fatto. Quando sono uscito dall'ospedale era una cosa bellissima, che ti dà ancora più forza per andare avanti. Quando esci sei contentissimo, poi quando mancava poco, non vedevo l'ora di tornare in reparto per combattere. Non è la fine, ma sono uscito da quel ca**o di ospedale e da quella camera. Stai tutto il giorno lì, con tutti i dolori, però in quei momenti la famiglia, mia moglie e l'affetto circostante sono stati fondamentali”.

SUL SUO RITORNO: “Sono sicuro che ora torneremo a fare quello che sappiamo fare, ho visto che si sta alzando il livello, ma dobbiamo farlo tutti i giorni e io devo essere quasi sempre presente. Loro sono liberi di fare tutto quello che gli dico io”.

SUL LAVORO IN OSPEDALE: “Mi teneva occupata la mente, stando lì al chiuso, la mia unica distrazione erano i film, i libri e soprattutto gli allenamenti. E' una cosa che mi ha aiutato molto, l'ultima riunione è stata dopo la Sampdoria e per tre settimane non ci siamo sentiti e i ragazzi hanno perso anche tre partite. Stavo sempre a letto, ero un ebete e non ero in grado di parlare”.

SUL SINISA PRECEDENTE: “Mi sono promesso di inca**armi di meno, ma non ce la faccio. Avrò più pazienza di prima, ma sarò ancora più ca**uto di prima”.

SULLE DOMENICHE A GUARDARE LE PARTITE: “Si sentivano le urla da tutte le parti, le infermiere non entravano, lasciavano stare. Non vedevo l'ora di affrontarle e di vedere la squadra fare quello che mi piaceva, ma sapevo che senza un allenatore è normale questo, anzi hanno fatto anche abbastanza. Io sono però uno che difficilmente si accontenta e aspettavo quelle domeniche per le partite, sono stato sempre presente, il problema era quando non c'erano le partite. Il primo ricovero è stato il più pesante perché non c'era nulla”.

SUL VAR: “E' una cosa utile, ma ci sono delle situazioni che non capisco, ad esempio con i falli di mano. Con i fuorigiochi siamo sicuri che non sbagliano, poi magari servono delle regole meno complicate. Ci vuole un ingegnere nucleare per i tocchi col braccio, poi sinceramente ho avuto altro da pensare in questi mesi”.

 

Giorgio Trobbiani

Giornalista, dalle Marche. Calcio, pallacanestro, tennis e via di seguito: purché ci sia una palla

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