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Roma, Totti e una carriera da raccontare tra Nesta, Zeman e De Rossi

Il capitano si racconta nel ‘Draw My Life’ del club giallorosso

ROMA TOTTI / Difficile trovare un altro argomento nelle news Roma di questi giorni: è la domenica dell'addio ai giallorossi di Francesco Totti, del capitano di mille battaglie, del simbolo di una società. Per lui è arrivato il momento dei saluti e prima di concentrarsi poi su quello che sarà il futuro, tra calciomercato e una carriera da dirigente, eccolo raccontare nel 'Draw My Life' pubblicato sul sito del club capitolino la sua carriera a tinte giallorosse, di cui vi proponiamo alcuni stralci: “Da piccolo avevo un sogno, e anche un piano di riserva. Il sogno si chiamava Roma, e ancora non era così nitido. Quella maglia la vedevo sfocata, ma la vedevo. Quel numero 10 sulle spalle, i colori della mia città, la fascia da capitano al braccio. Ero bambino, ma li vedevo gli altri bambini, quelli che avrebbero corso forte dietro a me, avrebbero condiviso questo sogno e mi avrebbero chiesto di restituirglielo. Lungo il percorso, e poi per sempre, mi avrebbero chiamato Francesco.

NESTA – “Ho 11 anni e per la prima volta affronto Alessandro Nesta, antipasto dei derby che verranno. Vinciamo noi 2-0 sul campo Ruggeri di Montesacro, nella finale del torneo Renzini. Quel giorno strinsi la mano ad Alessandro e poi non smisi mai di farlo: sarebbe diventato un rivale e un amico. Se vi chiedono cos’è il fair play, raccontategli di Sandro e Francesco, disposti a tutto per vedere trionfare i propri colori, tranne che a perdere il rispetto di se stessi e del proprio avversario”. 

DEBUTTO – “Fino al 28 marzo 1993, quando allo stadio Rigamonti di Brescia, Boskov mi spedisce in campo al posto di Rizzitelli. Il mister si volta verso la panchina e sussurra che tocca al ragazzino. Io non avevo capito che toccava a me. A ripensarci dopo, se uno ha 17 anni e sei in Prima squadra, ma chi altro doveva essere il ragazzino? Potenza dei sogni, in un attimo ero di nuovo bambino e calciatore della Roma insieme. Con le gambe che mi trascinavano per il campo e la testa che andava tra le nuvole”.

Roma, il Totti Day: “Mazzone Mago Merlino, De Rossi un fratello”

MAZZONE E ZEMAN – “Mago Merlino per me è stato Mazzone. Mi ha tenuto alla larga dagli inganno e mi ha protetto dal successo. Io crescevo a piccole dosi, tra papà Enzo che continuava a dire che Riccardo era più forte, e Carlo Mazzone che tentava di tenermi al riparo dalle luci della ribalta e da un ambiente difficile come Roma, che è capace di abbracciarti così forte da toglierti un po’ il respiro. Dopo l’esperienza con Mazzone andai in difficoltà, e fui persino vicino a lasciare la Roma. Franco Sensi, un presidente a cui devo molto, fece saltare in extremis il mio passaggio alla Sampdoria. A poche ore dal trasferimento, giocai un triangolare contro Ajax e Borussia Mönchengladbach. Gli avversari andavano giù come birilli, il pallone sembrava spinto dal destino. Inventai gol e giocate, portai lo stadio dalla mia parte, mentre io tornavo dalla parte del cuore, dalla parte della mia Roma. Poi arrivò Zeman e con lui feci un altro passo verso la maturità. Mi consegnò la fascia da capitano e la maglia numero 10. Mi spinse ad accettare nuove sfide con me stesso, in allenamento e in partita.

LO SCUDETTO – “Ma se mi voltate insieme a me e tornate indietro di qualche anno, c’è una data e un luogo in cui il mio sogno si è intrecciato per sempre con quello di tutti i romanisti: il 17 giugno 2001, di fronte al Parma. Lo stadio Olimpico esplodeva di bandiere, erano ovunque, mentre qua e là spuntava quella tricolore. Nei giorni successivi ne sarebbero spuntate molte di più, ovunque. A 24 anni ho vinto lo scudetto nella mia città, indossando la maglia che ho sempre amato e la fascia da capitano al braccio. Si gioca a calcio per vivere almeno un giorno come quello. Roma in quei giorni era un carnevale, era giallorossa ovunque e lo è rimasta per una settimana intera. Clacson impazziti, palazzi vestiti di bandiere fino alla festa al Circo Massimo. Per la nostra gente, a quel punto eravamo davvero degli eroi”.

DE ROSSI – “Un certo punto della mia carriera ho avuto la fortuna di dividerlo con un altro fratello di nome Daniele. Daniele è De Rossi. Per me è Daniele, come io sono Francesco. Potrei raccontare 100 episodi e altrettante battaglie ci hanno unito. Vi basterà sapere che quando la fascia è finita sul suo braccio, io sentivo che si trovava in un posto sicuro. Le spalle di Daniele sono un posto sicuro”.

Bruno De Santis

Napoletano, giornalista professionista dal 2006. Il calcio prima di tutto: poco bravo con i piedi, un po' di più (si spera) con la penna.

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