SPECIALE CALCIOSCOMMESSE DIRITTO FENOMENO / ROMA – “Quest'anno la classifica potrebbe essere in bianco”. Questa la fondata convinzione di molti sul campionato appena conclusosi. Daltronde i vari tronconi delle indagini di “calcioscommesse” ed il numero di partite sotto inchiesta autorizzano a ritenere che la classifica non resterà invariata. Si rincorrono già ipotesi sul web che vedrebbero l'Atalanta correre un rischio potenziale di 7 punti di penalizzazione (oltre quelli già scontati), 2 per il Bologna, 3 per il Cesena, 2 per il Genoa, 7 per la Lazio e Lecce dai sei punti alla retrocessione.
Quello che più preoccupa di queste indagini é l'impressione che trapela dagli interrogatori di una prassi generalizzata nel mondo del calcio; una sorta di abitudine fatta di taciti accordi, partite già scritte e conseguenti scommesse che muoverebbero ingenti capitali.
La vicenda anche se convulsa, si sostanzia generalmente di persone che fanno pressione (con soldi o minacce) su giocatori per pilotare una partita verso un determinato risultato sul quale poi scommettere. Tale attività configura tanto un illecito penale che sportivo.
In questo tipo di vicende il diritto sportivo e il diritto penale operano, peraltro, su due piani paralleli. Diversi sono i requisiti che attivano i procedimenti, diverse le procedure così come le norme applicate e le pene irrogate. Ed anche di tempi diversi si tratta, visto che per una senteza penale definitiva servono molti anni, mentre il procedimento sportivo dovrà concludersi necessariamente a breve per consentire la partenza dei campionati in maniera regolare.
L'art. 416 del codice penale punisce con la reclusione tra 3 e 7 anni l'associazione di tre o più persone finalizzata a manipolare l'esito di un incontro sportivo (laddove per la manipolazione di un incontro priva della medesima associazione l'art.1 della legge 401/1989 prevede la reclusione da un mese ad un anno ).
Il diritto sportivo dal canto suo, molto più rigido, punisce tutta una serie di comportamenti, anche se penalmente irrilevanti. Molto più stringente e vessatorio per l'imputato stesso infatti, nel procedimento sportivo spetta al tesserato l'onere della prova di innocenza (mentre nel diritto penale é l'accusa a provare la colpevolezza). Inoltre nell'ordinamento sportivo vige un generale obbligo di denuncia, inesistente in linea generale nel ordinamento penale italiano.
Ad inasprire ulteriormente il quadro sanzionatorio sussiste un principio di responsabilità oggettiva delle società per l'operato dei loro tesserati, oltre ad una responsabilità diretta per l'operato dei suoi rappresentanti. L'art. 4 del nuovo Codice di giustizia sportiva (Cgs), infatti dispone che “Le società rispondono direttamente dell'operato di chi le rappresenta, anche per singole questioni, ai sensi delle norme federali. Le società rispondono oggettivamente, ai fini disciplinari, dell'operato dei dirigenti, dei tesserati e dei soggetti di cui all'art. 1, comma 5 (i soci e non soci cui è riconducibile, direttamente o indirettamente, il controllo delle società stesse, nonché coloro che svolgono qualsiasi attività all'interno o nell'interesse di una società o comunque rilevante per l'ordinamento federale). In parole povere le società rispondono praticamente sempre, a titolo diverso a seconda dei casi, degli illeciti dei loro tesserati.
Nel caso specifico, un calciatore che contribuisce a pilotare una partita rischia tre anni di squalifica, mentre un sostanzioso sconto di pena spetta ai tesserati che collaborano con la giustizia. Per le società coinvolte spettano punti di penalizzazione se coinvolte a titolo oggettivo, mentre vi è il rischio di retrocessione in caso di responsabilità diretta.
L'impressione che ho é che, come nelle grida manzoniane, una esasperata durezza (anche contro società che non hanno partecipato o che addirittura sono parte lesa dagli accordi tra giocatori) nasconda un vizio di fondo del diritto sportivo: la squalifica può essere uno strumento efficace nei confronti di un calciatore giovane ma è assolutamente irrisoria per un atleta ultratrentenne se non del tutto simbolica quando a fine carriera. Una soluzione solo parziale può essere ottenuta aggiungendo sul contratto del giocatore una clausola che preveda una penale molto salata in caso di squalifica.
A questo deficit di risposta sanzionatoria dovrebbe rispondere il diritto penale. Risposta attesa invano se si considera che la manipolazione di un evento sportivo è punita con una pena di per sé ridicola (da un mese ad un anno di reclusione). Non si comprende infatti perché una forma a mio avviso più grave di truffa debba essere punita con una sanzione molto più blanda della truffa medesima (reato già punito in maniera leggera con la reclusione da sei mesi a due anni). Inoltre l'associazione a delinquere tra tre o più persone per manipolare un incontro, punita in maniera molto più seria, è spesso di difficile prova consentendo l'assoluzione degli imputati. Al desolante quadro si aggiungano i tempi lunghissimi del processo penale ed il rischio sempre attuale di prescrizione per comprendere le responsabilità del diritto penale nell'increscioso fenomeno.
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