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Mercato Milan, da Sheva a Thiago Silva: la tattica della distrazione

Uno ogni tre anni, le cessioni eccellenti del club rossonero sono sempre contornate da strani intrecci preventivi

 

MERCATO MILAN SHEVA KAKA' THIAGO SILVA IBRAHIMOVIC / ROMA – In principio fu Shevchenko. Il campione ucraino è un po' l'apripista di quello che ormai rappresenta una sorta di mercato alternativo inventato dal presidente milanista e perfezionato nel corso degli anni. Chomsky la chiamerebbe tecnica del “problema-reazione-soluzione“, ovvero la capacità di far accettare scelte proprie come decisioni necessarie prese da qualcun altro. La storia del Milan ha tre episodi che sono l'esatto specchio di questa tecnica. Uno ogni tre anni, uno ogni ciclo. Giusto per dare al popolo il tempo di dimenticare.

 

 

SHEVA E LA STREGA CATTIVA – Correva l'anno 2006 e Andriy Shevchenko subiva una corte serrata da parte del Chelsea del suo amico Abramovich, che premeva per portare l'attaccante all'apice della carriera nel suo Stamford Bridge. Mesi di assalti e corteggiamenti, non solo a lui ma anche alla moglie. La risposta secca, almeno inizialmente, fu un “No” che fece gridare al miracolo i tifosi rossoneri. A gennaio Sheva rimase a Milano e Berlusconi si lasciò portare in trionfo come salvatore della patria. Poi a giugno, dopo tanti tira e molla e uno scaricabarile che è rimasto nella storia (il capro espiatorio alla fine fu sua moglie Kirsten Pazik, che tuttora a Milano è vista un po' come il diavolo, e non certo quello rossonero), l'attaccante si vestì di Blues e il Milan iniziò una nuova vita senza di lui.

 

KAKA' FA IL PAPA – Capitolo secondo, Ricardo Izecson Leite, per gli amici Ricky. Per i suoi adoranti tifosi, invece, semplicemente Kakà. Anche il fresco Pallone d'Oro brasiliano fu protagonista di una vicenda praticamente analoga. Anno 2009: tre anni fa, tre anni dopo il caso-Shevchenko. Il freddo gennaio di quell'anno fu scaldato da una notizia che risvegliò nella mente dei tifosi milanisti traumi che sembravano ormai sopiti. Il Manchester City appena comprato dagli sceicchi arabi vuole un colpaccio per infiammare subito la piazza, e l'occhio cade subito sul brillante più prezioso della gioielleria. Kakà, appunto. Che dopo una telenovela molto 'tele' e poco 'novela' annunciò ai festanti supporter assiepati sotto il suo albergo il suo secco rifiuto alla succosa proposta del City, affacciato al balcone come se fosse il papa. Un secondo matrimonio sconfessato giusto sei mesi dopo, quando poi Ricky fu ceduto al Real Madrid per una cifra blu, ma la piazza era ancora troppo grata al presidente dopo l'impresa invernale per criticargli il sacrificio estivo. Avevano avuto sei mesi per abituarsi, l'addio dell'idolo brasiliano fu sicuramente molto meno doloroso. E il Milan incassò il denaro per avviare un nuovo ciclo, magari un po' più “stitico” ma ancora abbastanza ricco di soddisfazioni.

 

 

ANCHE IL CUORE HA UN PREZZO – Arriviamo quindi al presente: sono passati altri tre anni e ci troviamo di nuovo di fronte alla stessa storia. Thiago Silva sì, Thiago Silva no, un giorno al Barcellona e l'altro al PSG, fino all'arrivo del Salvatore che accoglie le preghiere dei tifosi e salva il pupillo dalle grinfie dei ricchi presidenti esteri. Thiago resta a Milano e Milano ringrazia il cuore del suo presidente, preparandosi con entusiasmo ad una politica di austerity che con questo 'coup de theatre' si era improvvisamente trasformata da necessaria a indispensabile. Poi, all'improvviso (?), il nuovo cambio di rotta: qualche settimana fa sembrava che i sentimenti non avessero prezzo, e invece ce l'hanno eccome. Un prezzo fissato dal controrilancio di Ancelotti, che addirittura riesce a portarsi via anche l'altro pilastro della squadra, Zlatan Ibrahimovic. Sessantacinque milioni di euro più gli ingaggi risparmiati. Effettivamente una proposta che – di questi tempi – è davvero difficile rifiutare. I tifosi ora sperano che quei soldi siano investiti per costruire un nuovo ciclo, come è accaduto nelle due occasioni precedenti. Ma se il punto di partenza sono Astori e Destro – con tutto il rispetto – è probabile che la 'dieta' andrà avanti ancora per un po' di tempo. Ma questo non lo sappiamo e lasciamo l'ardua sentenza ai posteri; ciò che invece sappiamo bene perché ce l'ha insegnato il Milan è che spesso non è il finale che conta: quando il fumo intorno è adeguatamente sgargiante e colorato non importa quale sia l'arrosto che c'è sotto.

 

Redazione

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